venerdì 18 marzo 2011

Remember me
special needs.

Questa canzone è legata a molti, troppi, ricordi.
Le canzoni non devono mai ricordare o significare troppe cose... altrimenti rischi che ti cambino l'umore quando le ascolti.
Ci sono molte cose che non racconto agli altri. A volte mi chiedo se sia giusto proteggere tutto così ossessivamente... ho permesso agli eventi di scorrere dentro il mio corpo lasciando solchi, ma è come se all'esterno avessi cercato di mantenere tutto il più possibile intatto.
Come se il mio corpo fosse la teca atta a proteggere ciò che ho più paura di mettere in gioco, la parte più interna, più viva, più sensibile, più fragile di me.
Quella le cui ferite bruciano maggiormente ogni volta che devono cicatrizzarsi.
Ebbene, alcune canzoni sono come fili sottili, argentei, che escono da quella teca. Che creano un ponte fra ciò che protegge e ciò da cui dev'essere protetto.
La musica su di me ha questo effetto.
E fra i versi di alcune canzoni ho scritto cose che le hanno rese come capaci d'infrangere, per quei brevi, veloci, sfuggenti, minuti, la teca.

Special needs è una di queste.
Quella voce canta e nella mie mente iniziano a scorrere immagini, fotografie in bianco e nero, più o meno nitide.
Un ragazzo e una ragazza che camminano per una cittadina familiare, un pomeriggio di più di due anni fa.
Baci soffocanti, voraci, feroci. Famelici. Affamati. 
Un concerto e luci blu. Una chitarra e i suoi jeans. Occhi azzurri e pelle diafana.
Parole incise come marchi scottanti.
Versi sussurrati mentre ti lasci cadere sul pavimento, versi urlati a qualcuno che forse non esiste nemmeno.
Mani e pelle, capelli fra le dita, risate che sole hanno quel timbro.
Brividi che fanno rizzare ogni pelo, arrampicandosi su di te con i loro artigli, senza però graffiarti, ma quasi... facendoti fare le fusa.
Racconti a due in macchina, sigarette e occhiali da sole che nascondono sguardi lontani, verso luoghi che persino descrivere è troppo doloroso.
I primi fiocchi di neve che inspiegabilmente appaiono da un cielo color pece.
Scogli pungenti, il sapore della salsedine sulle labbra, il blu troppo intenso del mare.

Tu.

mercoledì 16 marzo 2011

Sogni che renderebbero Freud orgoglioso di me

Ho fatto un sogno piuttosto lungo e articolato, ma la parte più (psicologicamente*) interessante è stata quando io, seduta di fianco a quello che nel sogno era il mio ragazzo, scorgo sopraggiungere Lily (per chi non avesse visto il Cigno Nero, Lily è l'antagonista del Cigno Bianco-Nina e impersona la sensualità, le passioni sfrenate, il dark side che ognuno ha dentro di sé e che Nina non riesce a far emergere e liberare), mi alzo e le lascio il posto.
Ho lasciato il ragazzo che amavo al mio Cigno Nero.

Devo scoprire se la perfezione sta davvero nell'essere imperfetti.
No, meglio, vorrei poter tollerare l'imperfezione e riuscire ad essere felice.
Senza il timore di non saper fronteggiare il mio Cigno Nero.
Senza rinunciare a chi, a cosa, amo.



*No, voi non conoscete ancora il mio amore per la psicologia... magari ve ne parlerò, magari mi limiterò semplicemente a laurearmi in psicologia quanto prima :)

martedì 15 marzo 2011

Inquietudine, notti in bianco e sogni


Mancano pochi minuti alla mezzanotte, le strade sono deserte, l'asfalto, reso lucido da un velo di pioggia, riflette le luci distanziate dei lampioni.
Una sera come tante, ritorni a casa percorrendo quel tragitto che gli spostamenti quotidiani ti hanno ormai impresso nella memoria. Come ogni sera, ti accendi una sigaretta a quel semaforo, dopo qualche chilometro.
Stasera lo trovi anche rosso. Come togliendo le perle da un filo, scali le marce fino a fermarti prima della linea bianca, lasci la folle e abbassi il finestrino, noncurante della pioggerellina leggera che s'infiltra gelida e umida in macchina. Allunghi la mano verso il portaoggetti, prendi il pacchetto di sigarette e ne estrai una dall'estrema sinistra. L'appoggi alle labbra.
Mentre cerchi l'accendino assapori l'aroma di tabacco sulla carta asciutta e liscia del filtro. Intanto il semaforo ritorna verde, ingrani la prima e, nello spazio lasciato dal numero di giri che servono per arrivare alla seconda, accendi la sigaretta.
Il primo tiro è sempre il migliore.
Tieni volante e sigaretta con la mano sinistra, mentre con la destra sfogli le bustine del porta cd aperto sul sedile a fianco, con gli occhi che saltano dalla strada ai diversi dischi, alla ricerca di quello che vuoi ascoltare. Finalmente lo trovi. Lo sfili e lo inserisci nel lettore.
Salti le prime quattro tracce, per arrivare alla numero cinque. Alzi il volume, acceleri, e lasci che le parole della canzone sfondino la tua corazza e ti penetrino fino a sbucare dall'altra parte.
Lo trovi, in un certo qual modo, catartico. Vorresti tuttavia che facesse più male: stasera hai un bisogno disperato di provare qualsiasi cosa, di un'emozione che infiammi la paglia che sembra riempirti.
Rifletti sul fatto che ormai sono un po' di sere che il rito di ripete, che ti stordisci con sigarette, musica e guida imprudente per cercare di risvegliarti, di far battere il tuo cuore un po' più forte.
Sere in cui sali in macchina e ti ritrovi senz'aria, come ad annegare sotto l'oceano del vuoto che ti senti dentro.
Forse è solitudine. Forse è apatia. Forse è rabbia messa a tacere.
Più cerchi di capire cosa ti fa stare così e più ti ritrovi come incastrata in un cubo di vetro, come una farfalla che non fa altro che sbattere le ali contro quelle pareti trasparenti, ma dallo spessore insuperabile.
Getti la sigaretta lanciandola lontana con uno scatto di due dita e alzi il finestrino. Con meravigliosa sincronia è terminata anche la canzone, lasciandoti in un limbo fatto dall'aria calda che esce dai bocchettoni e momentaneo silenzio.
Sei quasi arrivata a casa... ma no, non puoi tornare a casa in questo stato. Ti rifiuti di rincasare con tutta questa inquietudine nelle membra, con dentro questa massa nera che non farà altro che implodere in una notte insonne.
Anziché girare a sinistra per entrare in paese prosegui dritto sulla statale.
La notte scorsa hai dormito tre ore. Sei andata a letto presto, eppure non hai fatto altro che passare due ore a rigirarti e rigirarti, scombinando le coperte e mescolando i pensieri come un mazzo di carte, nel tentativo di far saltar fuori il jolly. Alla fine, una volta che anche tua madre si è addormentata, ti sei arresa, alzata e messa davanti al computer. Hai scritto un po', ma era come se il cervello girasse a vuoto. Hai guardato la seconda metà di un film (iniziato, fra l'altro, la notte precedente), giocato qualche partita a freecell, torturato il gatto che dormiva (troppo) beatamente, letto un centinaio di pagine di un libro, per poi, infine, addormentarti sul divano, davanti alla tv. Alle sette sei stata svegliata dal resto della famiglia che iniziava la loro giornata, ti sei trascinata nel tuo letto per dormicchiare un'altra oretta. Alla fine, più sfinita che riposata, ti sei alzata.
No, questa notte almeno cinque ore devi dormirle.
Guidi fino al paese seguente. Tutto è diverso la notte. Ti sembra assurdo come certe notti possano regalare una bellezza quasi struggente, mentre questa ti appare solo squallida e fredda.
Un bmw grigio metallizzato è fermo a contrattare un'ora di sesso con tre puttane in minigonna sotto tre ombrelli arancioni.
Fuori dai bar uomini rumorosi fumano con bottiglie di birra fra le dita, ridendo sguaiatamente.
A una fermata dell'autobus tre ragazzi e due ragazze se ne stanno a prendere freddo, seduti sui muretti, immobili nella stessa identica posa che sa di plastica, esperienze consumate velocemente e domande che nemmeno ci si pone più.
Anziché allentarla, questo notturno girovagare non fa altro che aumentare l'ansia.
Faccio rapidamente inversione e ripercorro la strada percorsa, più velocemente...

Al che mi sono addormentata, il pc ancora acceso sulle gambe, affondando nei due cuscini sui quali ero appoggiata. Per fortuna, la luce dello schermo fa venire sonno. Erano le due e trenta quando Morfeo è venuto a trascinarmi nel suo mondo, alle sette e ventisette stamattina ero già sveglia... qualcosa non quadra, eh?

Fra l'altro, mi sono svegliata riemergendo da un sogno. Mentre le immagini oniriche si allontanavano sbiadendo, ho voluto tenere ancora per qualche minuto gli occhi chiusi, anzichè spalancarli immediatamente come faccio di solito appena mi desto. 
Volevo ritornare in quel sogno. 
Mi ha lasciato l'amara dolcezza dei sogni troppo belli sulle labbra. 
E una gran voglia di baciarti, sotto la pioggia, con le gocce che si mescolano alle lacrime.