giovedì 29 dicembre 2011

Boulevard of Broken Dreams

C'erano le strade deserte, le canzoni malinconiche che uscivano dagli auricolari, i raggi obliqui del sole che iniziava a calare. 
Agli angoli delle strade e nelle piazze incontravi solo i ricordi e i fantasmi delle passate storie d'amore.
C'era lui. E lui. E lui. E lui. E altri lui. 
C'era un tramonto che diventava alba, e poi notte. 
C'erano le mani gelate, i tagli che si riaprivano, ma che non sentivi bruciare. 
C'erano porte che tempo fa aprivi quasi senza bussare, c'erano finestre dalle quali anni fa entravi la mattina, c'erano le auto parcheggiate isolate, nascoste per nascondere.
C'erano lacrime ormai asciugate a rigarti le guance, c'erano i passi veloci scanditi dalla voglia di fuggire, c'era un parco deserto e la sua panchina riparata, che abbracciava tristezza e rabbia in giornate senza casa.
C'era una grossa scheggia di vetro infilata nello stomaco, nel sovrapporre fotografie a ciò che i tuoi occhi vedevano.
C'erano campi di pallavolo con la rete smontata, e l'eco di un pallone sul cemento. C'era la casa di un'amica che non hai mai voluto salutare, per paura che se ne andasse davvero. 
C'era lui al tuo fianco, per cacciare la solitudine e il freddo. 
C'erano le parole che avresti voluto dirgli, frasi che tessi nella tua mente fingendoti una romantica Penelope in attesa del suo arrivo. 
C'eri tu, che continui a scappare alla ricerca di un'uscita d'emergenza, di un po' di ossigeno, della sensibilità necessaria per sentire il calore. 


No, c'erano solo delle strade vuote, un iPod impostato sulla riproduzione casuale e un tramonto d'inverno. 
Il resto è solo invenzione. 

domenica 25 dicembre 2011

Keep it alive.

L'alba, questo Natale, era celeste, sfumata di rosa. Fuori c'è il sole. E anche dentro, un po'.

Non so se tu leggi qui. Non lo so. La possibilità di sì, però, mi frena dal trascrivere tutte le pagine di quel quaderno che sto riempiendo, scrivendo di te, e di noi. 

E desidero che tu non fraintenda: il destinatario di questo generico "tu" con il quale converso, sei proprio tu, nessun altro. 
Forse è l'inverno. Forse è Natale. Forse è la voglia maledetta che ho di toccarti, di nuovo. 


Sono cauta. Per la prima volta, forse, sono cauta. Ho paura di perderti. Tanta. 
Ora che ci sei di nuovo, non posso non pensare a come mi mancavi. 
In realtà, mi manchi ancora. Un po', per qualche particolare. Labbra che si baciano e pelle sulla pelle. 
Forse era solo il momento ad essere sbagliato, come cantano i Dire Straits. 
O forse no. 
Non mi posso permettere un "forse no". Non con te. Non posso permettermi di perderti. 


Vorrei un primo bacio da sobria. 
Vorrei un primo bacio folle di emozioni, e non di insensatezza. 
Vorrei un nuovo primo bacio. 


Sorrido amara rileggendo quello che ho scritto. 
E' quasi banale, tanto è limpido e chiaro il mio bisogno di essere amata. 
Non ho più voglia di freddo, semplicemente. 
Non ho più voglia di essere nomade. 
Non ho più voglia di scappare. 


Vorrei la libertà necessaria per appartenere a qualcuno.


Che ne sarà di noi? Non lo so, non lo so davvero. 
-Sei un salto nel vuoto. 
Davvero, lo sono? Anche tu mi vedi così? 
Un salto nel vuoto. 
- Cosa c'è?
- Il mio istinto di sopravvivenza mi sta urlando di scappare. 
E' vero, non ti posso assicurare nulla. 
E lo sai anche tu, cazzo, mi conosci.
Mi hai vista devastata e fragile, sul fondo dell'Abisso, sai come sono, cosa sono, dietro la maschera. 

Vorrei, vorrei davvero, e tanto, poterti dire: "Fidati di me". 


Forse è ancora troppo presto, per l'amore. 


Ecco, bene, finisco sempre qui, a desiderare di arrivare perfettamente preparata alla prova con la vita.
"E' la prima volta che vivo." (L'insostenibile leggerezza dell'Essere, Kundera, letto quattro volte, due copie, una delle quali ospite fissa della mia auto.)


Viviamo impreparati. 
E per quanto le mie manie di controllo trovino questo insopportabile, penso sia l'unico modo possibile per vivere. 


Logorio mentale. Detesto questa mia leggera inclinazione a tentare di razionalizzare ogni singola emozione, pensiero, idea, sogno. 
La detesto profondamente. 


Chiudo qui, vado a farmi una doccia, scegliere i vestiti, truccarmi e prepararmi per questo Venticinque. 
Quanta voglia. 


Ok, chiudo davvero, mi è balenata per la mente la sensazione di un tuo abbraccio. 
Cerco di lasciarla così, confusa e confortante. 
Pensiero, spegniti.

Btw, buon Natale a tutti. Vi auguro, semplicemente e assolutamente, un Natale che sia davvero Natale.
Per quanto bella, la citazione da Bukowski sul Natale a luci spente e persone accese è diventata un po' troppo di dominio pubblico, quindi ve la risparmio, sicura che la conosciate già e sperando che la smettano di sbatterla dovunque, a Charlie questo inflazionismo avrebbe fatto schifo. 

Buona giornata, a tutti. 


giovedì 15 dicembre 2011

Freud non ha le risposte. Ma nessuno legge Freud per avere delle risposte. O no?


E' morto il più grave caso di anoressia nervosa al mondo. Dopo sedici anni di malattia. 
Io non riesco nemmeno ad immaginarli sedici anni da anoressica. 
Guardo la sua foto e non riesco a staccarne gli occhi. Non sembra umana. 


Pronunciare, ad alta voce, l'aggettivo "anoressica" mi costa uno sforzo enorme. 
Mi ricorda un camice, degli occhiali appesi al collo, con la montatura sottile e rossa, una cartelletta sotto il braccio. Una discussione dai toni accesi. 
La mente che si spegne per proteggersi da qualcosa che non vuole né ascoltare, né realizzare. 
Mi richiama alla mente corridoi di ospedale, pareti verde pallido, luci al neon, silenzio interrotto solo dal ronzio dei macchinari.
Piccole confezioni di cartone bianche con righe blu. Più erano piccole e più erano terribili.
Mi ricordo le notti con gli occhi sbarrati e il cuore impazzito, e la corsa infinita del cervello che cercava di afferrare il pensiero.
Mi ricordo i mesi senza sogni. Senza sognare una cosa che fosse una. 
Mi ricordo le assenze che si accumulavano, e le risposte che non erano mai esaustive o convincenti. 
Mi ricordo l'arrancare verso la fine di quell'anno, la fatica immane per fissare i concetti nella mente, l'insoddisfazione.
La gente non lo sa, cosa c'è nella mente di un'anoressica. 
La gente non sa. Per la gente sei sempre e solo una che si fa paranoie per le calorie, che non mangia una pizza intera da anni, che non zucchera il caffè.
A parte che io il caffè l'ho sempre bevuto amaro. Ma son dettagli. 
E la gente non sa nemmeno che mettere su peso non significa esser guarita. 
Guarire. Si guarisce? Ci si ammala? 
Che cazzo succede nella testa di una persona?
Perché ancora non ho trovato una risposta, ancora non so come tutto questo possa iniziare, perché possa iniziare. 
Freud non me lo spiega, i manuali di psicologia descrivono casi standard e l'ultima cosa che uno psicanalista deve fare è fornire risposte. 
Uno dei tanti meccanismi che nella vita s'inceppano, credo. 
Un ingranaggio si blocca e la tua realtà cambia. E tu diventi centomila persone diverse che si riflettono in uno specchio, che si vestono, che si fanno abbracciare. 
E non conta ciò che vedi davvero, in quello specchio. Non conta quanto sei magra, in realtà l'anoressia non è una questione di corporatura. 
C'è un momento in cui scorgi un numero, sulla bilancia. Sono cambiate le decine. E dici "Ok, adesso mi fermo". Ma non ci riesci. E ogni mattina può esserci una cifra in meno. E ti ritrovi a bucare le cinture con il coltello, a indossare due maglioni per sembrare meno inesistente. Ti guardi allo specchio e vedi un fantasma. 
L'avete mai visto, un fantasma?
Ecco, pensate vederlo ogni volta che vi guardate allo specchio. Ogni volta che incrociate lo sguardo di qualcuno che si ricorda come eravate, due mesi prima. 
Non avere più coscienza di sé. Non avere più controllo sul proprio corpo. 
Il Cigno Nero, l'avete visto? Io non ho dormito per notti, dopo averlo visto. Quella forma di follia, quella che ti divide il cervello a metà e rende ognuna delle due parti indipendente e assoluta, ma obbligata a coesistere con l'altra... quella forma di follia è l'anoressia. 
Io... vorrei poterne scrivere. Vorrei poterla descrivere. Vorrei non mi tremassero così le mani, vorrei non mi si conficcasse questa pietra in gola, vorrei non provare questa nausea e questo gelo.
Vorrei poter fermare nella mente il momento esatto in cui quel meccanismo si è bloccato. 
Fotografare quell'ingranaggio mentre si spezza. 

On air: Meds, Placebo

martedì 13 dicembre 2011

Fare dell'Abisso profondità


Arriva sempre il momento in cui le acque si placano. Il mare torna una calma distesa d'acqua blu e tu, finalmente, riesci a contemplarlo. 
C'è sempre il momento in cui sembra che il meccanismo che regola i flutti della tua mente ritorni a funzionare correttamente. Allora l'orologio si sblocca, le lancette riprendono il loro corso, il ticchettio ricompare, a scandire i pensieri. 
Come quando il cielo si schiarisce, quando una dopo l'altra ogni nuvola viene portata via, si dissolve, e lascia l'azzurro, terso e luminoso. 
Non so, in realtà, quanto ci sia di luminoso, nel mare che ora riesco a guardare. Avverto però la lucidità di pensiero, la libertà di riflettere su qualcosa senza che il dolore mi spezzi il fiato. 
Sei lì, sei il mare che guardo dalla mia barca. Non ti voglio cancellare, voglio, anzi, ricordarti, averti ben impresso nella mia testa, come tutto ciò che è stato importante nella mia vita.
Non si getta via il dolore. Non è qualcosa del quale ci si deve disfare, come un sacco della spazzatura pieno di rifiuti. 
Dal dolore, mio e altrui, ho sempre imparato molto. 
Fare dell'Abisso profondità. 
Ho scritto questa frase sorridendo, nonostante l'abbia detta a te, di fronte a un gelato affogato nel caffè, qualche mese fa.
Ecco, questo è contemplare il mare dopo una tempesta. 
Le cose ricominciano ad avere un Senso. Non c'è bisogno che io scriva qui cosa penso di te, di quello che è stato, di come mi hai trattata. Ho la consapevolezza di come e perché io ho agito, il resto è solo mare, rimane lì, io non ci posso fare nulla, analizzare ogni singolo aspetto non gli darà più significato di quello che ha.


Si parla di Capodanno. Capodanno. 
Sfoglio l'album fotografico che ho nella mente e ricordo.
Persone, musica, alcol, luci, auguri, blackout, pavimenti, bagni, sbronze inenarrabili, sogni maldestri, speranze, paure, baci famelici, labbra, lacrime, racconti di vita, neve, lenticchie... potrei continuare per pagine. Potrei scrivere di più, raccontare con maggior precisione... ma non so nemmeno io cosa voglio, posso, dire, pensare, fare, scrivere. 

In teoria tutto. In pratica no. 
Mediare fra Istinto e Ragione. Ragionevolezza, direi. 
Quest'anno è stato intenso. A dir poco. Sono cambiate talmente tante cose... io sono cambiata così tanto. Poi sono sempre la solita che si perde in un bicchier d'acqua, ma è come se, davvero, il mare attorno a me avesse orizzonti un po' più lontani, come se avessi più acqua e più onde da osservare.
Forse che sono cresciuta? Relativamente, dai, concediamoci una crescita relativa. 


Vabbé, insomma, sto pensando a te, ok, lo ammetto. 
Ci sto girando intorno dall'inizio del post, da circa cinque documenti salvati nel pc, da sei pagine di un quaderno, da giorni. 
Ragionevolezza, Agnese, fai la brava. 

mercoledì 7 dicembre 2011

Trapped

Vivere in una casa di quattro piani, dai colori diversi. 
Libri dal pavimento al soffitto. 
Stanze bianco sporco, giardini zen per ospitare un futuro equilibrio, soffitte con abbaini per guardare sempre il (al) cielo.

Stasera ne avrei proprio bisogno. 

Non ho più niente da dire. Certe sere non discuto nemmeno, esco semplicemente sul balcone a congelarmi. Le lacrime di rabbia bruciano come poche altre. 
Certe sere non ce la faccio proprio più.
Vi è così difficile, vero? Sì, evidentemente sì.

La giornata è stata così bella.

One minute you're on top, next you're not.

E domani non posso nemmeno uscire all'alba, perché la mia auto ha deciso di abbandonarmi. Fuck. 

On air: Linkin Park (cos'altro puoi ascoltare in questi casi)

sabato 3 dicembre 2011

She stole the keys to my house and then she locked herself out.


Marion Cotillard è meravigliosa.


L'ho amata in Inception. L'ho amata di nuovo guardando Midnight in Paris.
L'attore si ritrova a interpretare un determinato ruolo, oppure sceglie egli stesso che "tipo" di personaggio essere?
Riflettevo a tal proposito notando le somiglianze fra la Marion di Inception e quella di Midnight in Paris. 
Donne destinate a non essere amate nel presente, intrappolate in una dimensione onirica che, però, è l'unica in grado di mantenerle in vita. 
Amanti, dal passato, da un'epoca nella quale si vorrebbe fuggire, creature affascinanti, ma evanescenti. 
Marion...




"Baudelaire indossava guanti, per fare all'amore."
Sartre è il miglior psicanalista che potessi mai desiderare. 
Ed è terribilmente bastardo, come ogni buon psicanalista. 
Ti bevi ognuna delle sue parole, ebbra di quella comprensione assurda e astratta che spesso trovi nei libri, e poi, a metà, nel bel mezzo della tua estasi di ammirazione, ti sbatte in faccia la realtà.
Baudelaire, quel Baudelaire al quale ti sei sentita tanto affine, quel Baudelaire del quale hai guardato gli occhi ritratti, sentenziando "Come fai a non innamorarti, di uno che usa occhi così folli per guardare il mondo", quel Baudelaire che desiderava tutta la libertà necessaria per far nascere un Fiore del Male, perché era l'unico modo con il quale aveva imparato ad affermare e far rivivere, in ogni sua depravata azione, il Bene, quel Baudelaire così dilaniato, fra Satana e Dio, e che senza ombra di equilibrio li accarezzava, vi ci tuffava, sceglieva prima uno e subito dopo l'altro, quel Baudelaire torturato, vittima del bislacco e sfiancante gioco dei suoi desideri bipolari, quel Baudelaire... in realtà, faceva l'amore con i guanti.
Senza toccare davvero la sua amata. Senza fare l'amore, in fondo. 
Allora comprendi che no, non puoi essere come Baudelaire. 
Il fascino maudit è una carta che ti puoi giocare. Ma non per tutta la vita. 


Non vorrai ritrovarti a fare l'amore con i guanti. L'amore. Con i guanti. 
Non vorrai ritrovarti nella Belle Époque, e scegliere di rimanerci, perché il presente non ha senso. Perché nel presente non senti di avere senso. 
Non vorrai ritrovarti con una trottola che non si ferma mai, chiusa in una scatola. Nascosta. 
Non vorrai ritrovarti a gettare la maschera, una sera, dopo l'ennesima giornata trascorsa indossandola, e non trovare un volto. 


Mi è sfuggita una risata, in questo momento, mentre scrivevo. Non una risata, in realtà. Avete presente quella specie di "Umpf!" che si sbuffa, beffardo e ironico, più che divertito?
Ecco, mi è sfuggito uno di quelli (che forse avrà anche un nome, ma al momento faccio un po' fatica a richiamarlo alla mente... perdonate la mia povertà lessicale).
La realtà, è che io lo so benissimo, che non voglio essere Baudelaire. Né Marion e tutte le donne che interpreta. 
Lo so. 
Ma poi? 


Fortunatamente (in questo caso), sono per natura testarda. Ostinata. Recidiva. 
Quindi, nonostante ogni giorno io fallisca miseramente tutti i miei piani per diventare una persona equilibrata e serena (Dio, fa impressione persino scriverlo, "serena"), non sono affatto intenzionata a rimanere in questo stato di cose. 
Ma stasera non ho voglia di scrivere altro di ciò che mi si contorce nel cervello. 
E, sono sicura, voi non avrete voglia di leggerlo.


'Notte. 


On air: Lady of the flowers, Placebo

giovedì 1 dicembre 2011

Shining


Ho scritto pagine di dolore puro e le ho cancellate. 
Dopo questo infruttuoso (dal punto di vista scrittorio) processo catartico, posso riempire la risultante pagina bianca con quattro pensieri razionalmente espressi:


Primo. La prossima volta che qualcuno mi dirà "Quelle con un culo come il tuo arrivano sempre dove vogliono." non risponderò con un diplomatico "Sei sempre un gentiluomo", ma gli rovescerò addosso il vino e farò in modo che sia da tutti riconosciuto come un viscido verme. 
Secondo. Ti ho amato. Sì, ti ho amato. Probabilmente sono ancora innamorata di te. Inutile illudermi che farò qualcosa per smettere di esserlo.
Terzo. Reggere la maschera sta diventando problematico, faticoso e dai risvolti molto dolorosi. 
Quarto. Se la mia auto non mi ha lasciato a piedi stasera, ci sono buone probabilità che non lo farà ancora per molto.


Riconosco che la lucidità di pensiero che m'appartiene in questo momento ha un che d'inquietantemente simile a quella lucida follia che si scorge negli occhi dei killer nei film, quando escono da una stanza le cui pareti sono tutte schizzate di sangue. 
Uh, è pronto il tè.