Voglio andare a correre.
Me lo dico guardando fuori dalla finestra della sala, la ghiaia del cortile ancora ricoperta dalla brina, il cielo di cristallo delle mattinate invernali.
Fra poco vado a correre.
Lo dico a mia madre che scuote la testa, con la stessa rassegnazione che ha da anni ormai, facendomi notare la sciarpona avvolta attorno alla mia gola dolorante e la voce nasale con la quale mi sono svegliata.
Devo andare a correre.
Mi dice il mio sguardo, perentorio e severo [occhi particolarmente scuri stamattina], dallo specchio del bagno, accompagnato dalla stretta quasi soffocante delle mani sui fianchi, dal pungente ficcarsi delle unghie nella carne.
Mi avvicino allo specchio, così vicino da sfiorarlo con la punta del naso.
Un alone di condensa appanna il vetro vicino alle narici.
Mi guardo negli occhi.
Chiedendomi quale sarà la prossima mossa.
Cos'hai in mente?
Niente, nessuna risposta, non mi è dato di sapere.
Occhi particolarmente scuri stamattina.
Mi volto di scatto, come a dare le spalle a qualcuno, poco importa che in realtà quel qualcuno sia il mio sguardo su di me.
Mi tolgo i vestiti, prima i jeans, poi il maglione.
Continuo a dare le spalle allo specchio.
Infilo la canottiera, i pantaloni della tuta. Infine la felpa a collo alto. Chiudo la zip.
Snodo lo chignon, riavvio velocemente i capelli passandovi le mani attraverso tre-quattro volte, li raccolgo nuovamente, ma in una coda alta.
Esco dal bagno evitando lo sguardo dello specchio, ma con la sensazione, sgradevole e insopprimibile, di essere osservata.
Vado a correre.
Vediamo se torno con uno sguardo diverso.
On air: Somewhere I belong, Linkin Park [sempre perfetti, cazzo.]
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