Hai ragione, sono una stronza.
E senza nessuna sfumatura di fascino ribelle.
Non hai alcuna colpa per il mio cattivo umore.
E io non posso comportarmi così solamente perché sono stanca, ho buttato via la mattina dormendo -perché stanotte non riuscivo a prendere sonno-, mangerei tutto quello che c'è in casa, faccio sogni di merda che distruggono ogni mio tentativo di razionalizzazione sulla mia vita e non so come riempirmi la giornata.
Hai fatto un passo verso di me e io ti ho sbattuto la porta in faccia.
Scusami, cazzo. Scusa. Sono la solita.
Non ha senso riscrivere qua le scuse che ti ho chiesto. Cambiano qualcosa?
Le scuse sono una questione di orgoglio, non riparano mai davvero al danno fatto.
Ci provo con i perché, ma è difficile quando, cercandoli, mi rendo conto di non averne di sufficientemente validi.
La domenica è sempre una giornata di merda.
Secondo me Leopardi intendeva esattamente questo, quando ha scritto il "Sabato del villaggio". Solo che dirlo con le mie parole avrebbe abbassato un po' troppo il registro dei suoi scritti.
Ho mal di testa.
Ho freddo.
Ho sonno.
Ho mille cose da dirti e la voce per nessuna di esse.
Domani è lunedì. Università, lavoro, quattro lettere e un progetto. Sedici ore fuori casa, secondo i miei calcoli. [devo fare benzina]
Mi sento sempre così inadeguata in certi ambienti... preferirei quasi non essere stata presa, la sicurezza del mediocre "Le faremo sapere, signorina, grazie."
Eppure è tutto lì, a testimoniarmi che, forse, è il caso d'iniziare a crederci, in me stessa.
Non so, ho l'impressione che manchi sempre un pezzo, di non centrare mai la vera questione. Di non fare mai qualcosa che cambi davvero la mia vita.
Eppure, l'hai detto tu stessa: "Basta iniziare dalle piccole cose".
Sono un casino.
Fra la rabbia e il bene.
Il pensiero di dover lavorare mi conforta, elimina la possibilità di scegliere di esserci, o meno.
Cos'avrei fatto, fossi stata libera?
Forse avrebbe vinto il mio masochismo. Non posso fare a meno di guardarvi, e so che tu senti il mio sguardo su di voi. Vi guardo e mi rendo conto che, no, non ci posso credere. Non me la dai a bere.
Ricordo ogni tua parola.
Stanotte ripensavo a quel pomeriggio. Quando ha iniziato a piovere. E c'era solo la penombra delle persiane chiuse. Focalizzavo il pensiero sulla sensazione che avevo provato e sentivo una lama infilarsi nel mio stomaco.
E più la sentivo e più volevo che andasse a fondo.
Era tutto così lontano e sfumato, in quel ricordo. E invece no, io volevo che fosse netto e concreto come una lama. Perché lo è stato. Lo è stato.
Puoi raccontarla a te stesso, agli altri, a lei. Ma non a me.
Più rabbia, Agnese. Più rabbia. Meno bionda angelica, più palle.
Dio, che mal di testa.
E ieri sera sono tornata a casa ancora sobria.
Sono quasi le 17. Studio?
Butto lo sguardo sull'inserto della domenica del Sole che ho di fianco a me, mentre tu leggi le pagine economiche dall'altra parte del tavolo.
"Non aver paura che la vita possa finire. Abbi invece paura che non possa mai cominciare davvero."
Touché, John Henry Newman.
Touché.
Eco.
Rileggendo: questo blog sta diventando un'accozzaglia (meglio non potrebbe essere definito) di flussi di coscienza. Peccato non avere l'autorità letteraria di un Joyce o di una Woolf. Flussi d'in-coscienza. Mi scuso con il circoscritto pubblico per la noiosa e limitata offerta.
RispondiEliminaBasta, per oggi basta scrivere senza uno scopo.